Ogni tanto, sotto una luna piena abbastanza casuale, è più notte del solito. E mi rannicchio, chiudo ogni spiraglio, tiro le lenzuola fino a che mi coprano tutto. Ogni tanto è così tanto notte che l’alba nemmeno la si immagina.
Ogni tanto, ogni quattro lune di solito, giro di scatto la testa di lato e trovo un familiare vuoto.
Un vuoto ricco di spine, un anfratto ben conosciuto e a lungo odiato. Uno sgabuzzino in cui entrare a testa bassa, col solo scopo di far pace, dire due parole sottovoce e abbracciarsi teneramente.
Non c’è strazio, non c’è disperazione, non c’è lamento che non sia (nel fondo) anche falso.
Non c’è dolore che (in fondo) non sia anche un po’ colpa mia.
Non c’è sonno in tutti i minuti di questa lunga notte
vacua
asciutta
silente
tutta pensieri e nemmeno una cazzo di parola.
Tutta spirito e nemmeno un grammo di carne.
Una notte per volare via, una notte per piantare i piedi nella terra fradicia.
Una notte di luna piena, in cui scrivere perchè di meglio non si sa fare.
Scrivere come unica vocazione, scivolando accanto a due occhi, fari intermittenti
nella memoria.
Scosse di assestamento, scossoni, frenate, fermate e tre parole, come pugni sul grugno.
Batto i piedi e batto le dita sulla tastiera ma ma ma questa notte
non scivola via
nemmeno un minuto
nemmeno un respiro.